Locke: l’Odissea di un “everymen”

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Un uomo, una macchina, un cellulare e la strada: questo è Locke, film diretto da Steven Knight e interpretato da un Tom Hardy, presentato nella sezione Fuori concorso alla 70° edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

Steven+Knight+Locke+Photocall+70th+Venice+iZ6Fsz2E6IDlLa semplicità della storia è sconvolgente: alla vigilia del giorno più importante della sua carriera, Ivan Locke (Tom Hardy ), prima di tornare a casa dai suoi due figli e la moglie, riceve una telefonata che lo costringerà a modificare i suoi piani per il futuro prossimo e non solo. Da questo momento inizia la sua odissea di 85 minuti: Locke è il viaggio di un uomo normale che tenta di fare i conti col proprio passato; un viaggio di redenzione verso una meta apparentemente vicina, ma che la quantità di eventi in agguato fanno apparire lontanissima sia nel tempo che nello spazio.

Una location e un attore in campo (di pochi altri si sente solo la voce), Knight, in questo suo secondo film, non poteva osare di più. La vita di Locke  scorre davanti agli occhi pur senza l’ausilio di flashback, merito della magistrale prova d’attore offertaci da Hardy, dei dialoghi serrati, quasi asfissianti, come lo spazio interno della macchina, piccolo e angusto, quasi claustrofobico, contrapposto a quello esterno, molto più ampio. Difatti se Hardy è ripreso da varie angolazioni, sia esterne che interne, a volte più vicine rispetto ad altre, non è l’unico soggetto catturato dalla macchina da presa (i cui movimenti sono abbelliti dall’uso di alcuni carrelli): a volte un’inquadratura si sovrappone ad un’altra in un gioco di riflessi, creando la strana sensazione di trovarsi innanzi ad una piccola storia pescata a caso fra quelle disponibili sulla via; nonostante questo la strada, le macchine che sfrecciano veloci, le luci calde mischiate all’oscurità della notte, sono solo accarezzate dallo sguardo dello spettatore, teso e concentrato ad ascoltare gli stanzianti dialoghi di Locke, uno dei pochi, se non l’unico “eroe” positivo presentato in questa edizione della Mostra.

f6fd789cec130cdb6b9c4a926e176073La frase ripetuta come una nania dal protagonista (“Il traffico scorre”) risuona nelle orecchie di chi guarda, man mano che la meta si avvicina e il personaggio vede sgretolarsi la sua vita sotto ai suoi occhi, o meglio sotto le sue sue orecchie, come fosse un auto incoraggiamento per continuare sulla sua strada.
Ottantacinque minuti in cui si vede quasi solo un uomo in macchina, con dei controcampi ad uno schermo in cui è scritto il nome del contatto con cui sta dialogando. Ottantacinque minuti illuminati da una straordinaria fotografia. Ottantacinque minuti ripresi in tempo reale. Ottantacinque minuti in cui gli elementi del profilmico sono ridotti all’osso: questi sono gli ottantacinque minuti più carichi di tensione di cui io abbia memoria, come se Steven Knight (che prima di esordire alla regia era solo sceneggiatore) avesse voluto dire che per fare un buon film (nello specifico un thriller psicologico) non importa avere un budget illimitato, scenografie colossali o un cast di 20 attori premi oscar, bensì basta una buona storia e un modo originale di raccontarla.
Per me Locke è stata una piacevole sorpresa, e sono sicura lo sarà anche per chi di voi lo andrà a vedere in sala, se e quando verrà distribuito.
“Il traffico scorre bene”.

Kaze tachinu (The Wind Rises): Il vento si sta alzando. Lettera di una fan girl .

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Anche dal titolo si può intuire: questa recensione non è altro che un immenso grazie all’uomo che ha accompagnato la mia generazione sulla via dei buoni sentimenti, partendo da Anna dai capelli rossi, passando per Heidi, girando verso La principessa Mononoke, salendo poi nel cielo con Laputa ed Il castello errante di Howl. Dato questo percorso, che gli è valso un premio Oscar nel 2003 (per La città incantata) e un Leone d’oro alla carriera nel 2005, la sua avventura non poteva che concludersi in questo modo (Miyazaki ha infatti annunciato il suo ritiro): a Venezia, quest’anno, con Kaze tachinu (The Wind Rises). Per capire bene quest’ultima fatica del Maestro andiamo a vedere quali sono le affinità con gli altri lavori:

  • kaze-tachinu-video-wpcf_400x225Il tema del volo molto caro Miyazaki senior. Come faccio a saperlo? Solo tre titoli: Porco rosso, Laputa, Il castello errante di Howl.
  • Pacifismo dilagante: nonostante in molti dei suoi film vi siano delle battaglie è altrettanto vero che la critica del Maestro alla guerra è molto forte, sia dal punto di vista delle perdite umane (vedi Una tomba per le lucciolle, anche se ne ha solo curato l’animazione), sia da quello ambientalista.
  • Le donne, che nonostante non siano protagoniste del film sono personaggi forti, sia angeli del focolare che irremovibili supporti e (forse) spiriti guida dell’uomo nei suoi momenti di fragilità.
  • Ultimo ma non ultimo, il tema del sogno e del fantastico, che anche in Kaze tachinu riveste un ruolo fondamentale.

Allora la domanda sorge spontanea: in cosa si differenzia questo suo ultimo lavoro? Ebbene miei cari lettori, Kaze tachinu un biopic. Qui viene raccontata la vita di Jiro Horikoshi, progettista di aeroplani, tristemente conosciuto perché uno dei suoi modelli (lo “Zero”) è stato utilizzato per l’attacco a Perl Harbor.

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In questo film però Miyazaki non vuole raccontare solo le gesta professionali, prediligendo, infatti, il suo aspetto di essere umano, sensibile e sognatore. Raccoglie Jiro sin da bambino, mostrando il suo percorso, dimostrando che i sogni diventano realtà e la grandezza del Destino, entità in grado di assumere diverse forme, come quella del vento: elemento indispensabile per far volare aerei, cappelli e ombrelloni. Forse è proprio è lui uno dei protagonisti di questo film, che con la sua trasparenza riesce a unire le forti tonalità del verde erba e dell’azzurro cielo, simboleggianti le due dimensioni di Kaze Tachinu (e delle fisica), quella aerea e quella terrestre, che alla fine non sono altro se non il Sogno ed il Reale. Solo in un momento questi due aspetti si uniscono, formando l’idillio d’amore fra Jiro e Naoko. In questo breve istante tutto appare irreale, anche la plasticità dei personaggi cambia, prima fra tutti è da notare quella di uno strano dottore tedesco, onnipresente come uno spirito, e che, come un sogno, ad un certo punto svanisce nel nulla senza lasciare traccia.

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Una piccola nota di colore: il festival di Venezia nel 2005 ha premiato i suoi sforzi lavorativi, e forse per questo Miyazaki ha voluto far annunciare in questa occasione il suo ritiro. Se da una parte la nostra Italia è portatrice di tristi notizie, è anche vero che il Maestro l’ha omaggiata inserendo fra i personaggi più importanti Giovanni Battista Caproni, ingegnere aeronautico per la Storia, angelo custode e consigliere di Jiro nel film; nei quadri un cui è protagonista è possibile vedere nel cielo il tricolore disegnato sulle ali degli aeroplani, sempre carichi di civili spensierati, lontani dai conflitti umani, come a voler sottolineare un’ennesima volta la malvagità della Guerra, ladra di idee geniali realizzate solo per portare il sorriso sul volto della gente.

In sintesi e senza fare altri spoiler, Kaze tachinu è il testamento che questo grande Maestro dell’animazione ci lascia; commuovente e umoristico come solo lui sa fare.
Credetemi, quando dopo I titoli di coda vedrete la parola fine, insieme ad una lacrima portete dire solo una cosa: “Grazie Maestro, il vento si sta alzando…”