A proposito di Davis: I Coen alla scoperta del folk

Qualche tempo fa seguii un corso di cinema con un regista, tale Paolo Benvenuti, il quale fra tutte le perle di saggezza che propinò a me e agli altri studenti disse una cosa che suonava più o meno così: “Molti dicono che il Cinema è il diretto discendente del Teatro, ma io credo invece che l’arte ad esso più vicina è la Musica. Il regista è come un direttore d’orchestra che deve far suonare tutti gli stumenti (attori, luci, inquadrature…) nel modo giusto, così che possa nascere una bellissima armonia”. Queste parole, che mi hanno trovata d’accordo fin da subito, mi sono tornate in mente ieri sera, mentre guardavo l’ultimo film dei fratelli Coen: “A proposito di Davis”.
Geniale, elegante, perfetto: ecco gli aggettivi che possono descrivere solo in difetto quest’ultima fatica dei Coen, la quale concorre per vincere gli Oscar per miglior sonoro e miglior fotografia.
Il film racconta alcuni giorni di Llewyn Davis, musicista folk squattrinato e senza una fissa dimora che, dopo il suicidio del compagno di palcoscenico Mike, decide d’intraprendere la carriera da solita, ma con scarsissimi risultati. Personaggio, quello di Llewyn, ispirato ad un musicista realmente esistito: Dave Van Ronk, conosciuto nei primi anni ’60 come The Mayor of MacDougal Street. Egli “fu una delle figure chiave del movimento folk e beat che agli albori di quel decennio sfidò regole condivise, establishment e conformismo diffuso della società capitalista americana per dar voce e parole ad una visione diversa della vita. E della musica” (fonte: http://www.apropositodidavis.it/blog/proposito-di-davis/). Detta così la storia non sembra niente di che, ma ricordiamoci cha abbiamo a che fare con Joel e Ethan Coen, che si sono guadagnati un posto d’onore fra gli autori più importanti dei nostri tempi grazie al loro stile surrealista e brillante, che tratta in modo sempre attuale argomenti della cultura pop.

La musica gioca un ruolo fondamentale nel film, grazie ad una colonna sonora meravigliosamente struggente che rimanda proprio a quegli anni, così tanto importanti, il cui massimo esponente è il notissimo Bob Dylan. Contrariamente a quanto si possa pensare la colonna sonora non è onnipresente, non sentirete per tutti e 106 i minuti del film smielate canzoni folk. I Coen hanno preferito utilizzare anche per i “momenti morti” e senza dialogo dei suoni ambientali, dando un’idea di assoluto silenzio, come di stallo emotivo. Questo non fa altro che amplificare al massimo la carica emotiva nel momenti musicali. Lo spettatore rimane rapito, a bocca aperta, sollevato in uno strano libro fatto di pura e struggente emozione, grazie anche alla splendida voce e interpretazione di Oscar Isaac. Nota di merito anche alla superba fotografia di Bruno Delbonnel, i cui toni soffusi e le ombre marcate, rendono l’impatto emotivo quasi insostenibile.
Quella di Llewyn Davis è una storia ciclica di atti mancati, occasioni sprecate, o per uno scherzo del destino o per puro autolesionismo inconsapevole. Llewyn è un padre che quando scopre dell’esistenza del figlio passa oltre. Llewyn è il marinaio che perde la sua patente nautica. Llewyn è il musicista che non farà mai successo e fischia i suoi colleghi solo perché loro potrebbero raggiungerlo. Llewyn è l’uomo che quando dice “Ti amo” si sente rispondere “Ma smettila”. Llewyn è un Ulisse al contrario, che vorrebbe arrivare a lidi lontani, magari per raggiungere qualcosa di più, ma si trova sempre risucchiato nello stesso pub, solo lui con la sua chitarra, accompagnati da un gatto (che si chiama Ulisse davvero) narratore/accompagnatore, un Patronus che lo guida in questa breve ma infinita avventura. Ma del resto, la vita di Llewyn senza tutto questo sarebbe solo un esistere, non un vivere. Questo è quello che accade un po’ a tutti noi: inseguiamo le nostre passioni, sanguiniamo, ci congeliamo, spesso e volentieri ci arrendiamo alla sfortuna, ma alla fine torniamo sempre lì, là dove il nostro cuore batte, perché anche la nostra missione è vivere, non esistere. E come accade nella vita di tutti qualcuno vince e qualcuno perde. In questo caso Bob Dylan ha avuto quello che Llewyn/Dave Van Ronk non è riuscito ad ottenere: “pagare l’affitto” grazie alla propria passione.
Insomma, i Coen si confermano dei direttori d’orchestra formidabili, riuscendo a proporre in questi 106 minuti le melodie mai nuove ma sempre attuali del folk, in un messaggio d’amore ad un epoca, a un personaggio, ma soprattutto a coloro che vivono.
Elizabeth